CBD per la salute del cane: a che punto sono le evidenze scientifiche?

Tra gli ambiti di applicazione della cannabis su cui si è discusso maggiormente negli ultimi anni, un doveroso cenno deve essere dedicato alla salute degli animali domestici, in particolare dei cani, i pet più comuni nelle nostre case.

La loro presenza sempre più frequente in famiglia e l’interesse, che riguarda anche la salute umana, per i rimedi naturali finalizzati al miglioramento del benessere, ha portato numerosi proprietari a interessarsi in merito alle potenzialità della cannabis e a provare prodotti che la vedono come ingrediente principale (sì, sono legali in Italia e si possono comodamente acquistare online su e-shop autorizzati che, come il celebre cbweed.com, sono presenti sul mercato ormai da quasi un decennio).

Interessante a tal proposito è ricordare che l’introduzione sul mercato nazionale della cannabis a basso contenuto di THC e i primi approfondimenti sul suo impatto sul benessere dei cani risalgono al 2016.

Per quanto riguarda i secondi, ad aver dato il primo impulso è stata la Dottoressa Elena Battaglia, veterinaria ligure che, in poco tempo, ha ottenuto risultati molto interessanti sul suo anziano cane.

A che punto è la ricerca scientifica internazionale su questo tema? Scopriamolo assieme nelle prossime righe!

Il CBD è sicuro per i cani?

Prima ancora di parlare di efficacia, è naturale farsi domande sulla sicurezza del CBD per i cani.

A tal proposito, è utile chiamare in causa uno studio, pubblicato nel 2023 e condotto da esperti attivi presso alcune realtà sanitarie USA, tra cui la Colorado State University, che ha analizzato i meccanismi di azione del cannabidiolo concentrandosi soprattutto sui roditori e scoprendo la sua capacità di concretizzare una modulazione dei recettori CB1, CB2, 5-HT e GPR, tutti parte di quel complesso e affascinante universo che è il sistema endocannabinoide.

Per quanto riguarda gli animali da compagnia, cani e gatti in special modo, il CBD sembra associato a un profilo di sicurezza che, a dosi fisiologiche, non comporta significativi effetti collaterali. Gli esperti hanno definito “buona” la biodisponibilità.

Guardando in maniera specifica alla situazione dei cani, nell’articolo si ricorda come diversi studi abbiano scoperto l’efficacia del CBD per quanto riguarda il miglioramento dei quadri clinici di osteoartrite, una malattia profondamente invalidante e all’epilessia (a questa condizione, dedicheremo il prossimo paragrafo).

Nonostante ciò, si parla comunque della necessità di ulteriori studi per poter parlare di effettiva efficacia terapeutica. Lo stesso discorso vale per la gestione dell’ansia.

CBD per l’epilessia canina: cosa ha concluso la scienza?

Anche sulla scia della divulgazione sui social, diversi proprietari di cani in tutto il mondo hanno iniziato a documentarsi, con i propri veterinari, in merito all’effetto del CBD sui quadri di epilessia.

Ancora una volta, è il caso di interrogare la scienza. Tra i lavori più interessanti e recenti sul tema è possibile menzionare uno studio congiunto belga e tedesco, pubblicato nel 2022. Tra gli esperti che lo hanno firmato è possibile citare equipe scientifiche attive presso realtà come l’Università di Medicina Veterinaria di Hannover.

In questo articolo si pone l’accento sulla buona tollerabilità del CBD, ma anche su aspetti come la forte necessità di un controllo della qualità a livello farmaceutico, onde evitare problematiche come la bassa biodisponibilità, problema in parte risolvibile somministrando il cannabidiolo tramite formulazioni a base di olio.

Si cita altresì uno studio che, a seguito della somministrazione di CBD a un gruppo di cani con epilessia idiopatica farmaco-resistente, ha portato alla luce l’assenza di differenze tra gli animali inclusi nel gruppo di controllo e quelli facenti parte, invece, di quello sperimentale.

Un altro studio cross-over citato parla, invece, di una riduzione superiore al 50% delle crisi nei cani del gruppo sperimentale.

La comunità scientifica, per poter parlare di effettivo impatto positivo sui quadri della patologia, sottolinea l’importanza dell’esecuzione di più studi clinici randomizzati, soprattutto su esemplari di dimensioni importanti.