Nella metropolitana affollata che sfreccia tra Liverpool Street e Oxford Circus, tra un caffè servito con latte di soia e una pausa pranzo a base di sushi, si intrecciano le storie di tanti italiani che hanno scelto Londra come nuova casa. Tra loro, c’è una piccola ma vivace comunità di bolognesi – di prima e seconda generazione – che mantiene un legame tenace con la città delle Due Torri, pur essendo pienamente inserita nella vita cosmopolita della capitale britannica.
Simone Gamberini ha 34 anni, lavora nel marketing e vive a Shoreditch. È arrivato nel Regno Unito nel 2016, subito dopo la laurea magistrale in Economia all’Università di Bologna. “Dovevo rimanere sei mesi per migliorare l’inglese, sono passati quasi dieci anni,” racconta sorridendo. “Londra mi ha dato tanto: un lavoro stabile, colleghi da tutto il mondo, stimoli continui. Ma ogni volta che torno a Bologna sento una fitta al cuore. L’odore delle tigelle, l’accento cantilenante, la nebbia sulla collina di San Luca… non riesco a dimenticarli”.
Per molti bolognesi come Simone, la scelta di vivere all’estero è stata dettata da motivazioni economiche e professionali. “In Italia non trovavo nulla di serio. Qui ho avuto subito un contratto, un avanzamento di carriera, riconoscimenti. Eppure, la qualità della vita che avevo a Bologna è insostituibile. Qui tutto corre, anche quando non dovrebbe”.
Della stessa opinione è Elisa Minghetti, 29 anni, nata a Londra da genitori bolognesi emigrati nel 1992. Lavora come fisioterapista in un ospedale pubblico. “Mamma e papà sono venuti qui per lavorare. Hanno fatto mille sacrifici, ma hanno sempre parlato di Bologna con una luce negli occhi. Da piccola ci tornavamo ogni estate, io mi sentivo un po’ straniera lì, un po’ straniera anche qui. Oggi rivendico entrambe le identità: inglese nella puntualità e nell’etica lavorativa, bolognese nel cuore e nella tavola”.
Elisa, che parla un italiano fluente con un accento lievemente britannico, spiega che nel tempo ha sentito crescere una sorta di “nostalgia ereditaria”. “Non ho vissuto Bologna da residente, ma è come se l’avessi respirata attraverso i racconti di famiglia. E poi c’è la cucina: qui facciamo le lasagne ogni Natale, come da tradizione. Mio padre si ostina a comprare la mortadella all’unico negozio italiano del quartiere, anche se costa il doppio”.
Ma Londra non è solo un approdo professionale: è anche un laboratorio di identità e mescolanze culturali. Per Giovanni Rossetti, 42 anni, docente di storia contemporanea all’University College London, “i bolognesi, come molti italiani, portano con sé una cultura del legame, della convivialità, che qui è meno diffusa. Questo a volte crea spaesamento, ma anche un’occasione per arricchire l’ambiente in cui viviamo”.
Rossetti, emigrato nel 2008, ha studiato a lungo il fenomeno delle seconde generazioni italiane nel Regno Unito. “Quello che noto nei figli degli emigrati è una voglia fortissima di riscoperta. Molti si avvicinano all’italiano tardi, da adulti. Altri riscoprono Bologna come luogo simbolico di un’identità che sentono mancare. In alcuni casi, c’è perfino un desiderio di rientro, ma è più romantico che concreto”.
Questa duplicità emerge anche dalle parole di Chiara Lucchini, 26 anni, barista in un locale di Notting Hill: “Mi manca la lentezza delle giornate italiane, i pranzi in famiglia, il dialetto di mia nonna. Ma qui ho trovato la mia indipendenza. Londra non ti regala niente, ma ti dà la possibilità di ricominciare ogni giorno. E quando vado a trovare i miei a Bologna, mi accorgo di quanto sono cambiata”.
Non tutti, però, riescono a colmare il vuoto lasciato dall’Italia. Alcuni scelgono di tornare. Come Nicola Bernardi, 38 anni, che ha lasciato Londra durante la pandemia per rientrare a San Lazzaro. “Mi mancava tutto: il cibo, gli amici, le piazze, perfino i mezzi pubblici in ritardo. Londra era diventata troppo, troppo distante da quello che ero. Adesso lavoro da remoto per un’azienda inglese, ma vivo tra i colli. È la mia personale sintesi”.
Eppure, la comunità bolognese a Londra resta viva e attiva. Esistono gruppi WhatsApp, cene condivise, pagine social in cui ci si scambia consigli, ricette, notizie da casa. Ogni tanto qualcuno organizza un aperitivo “alla bolognese” in un pub con la mortadella e il lambrusco. Un modo per sentirsi, almeno per una sera, di nuovo sotto i portici.
“Non credo tornerò a vivere a Bologna,” conclude Simone. “Ma non passa giorno senza che ci pensi. È come una canzone che ti resta in testa. Londra è il presente, Bologna è il refrain che non se ne va”.
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