Cultura e Società

A Bologna le radici resistono, ma i rami parlano un’altra lingua

Nel cuore dell’Emilia, Bologna conserva ancora il profumo di brodo e il suono del dialetto. Ma quanto sono realmente vive, oggi, le tradizioni che hanno reso questa città una delle più identitarie d’Italia? La risposta si muove tra i portici, si ferma in Piazza Maggiore e si disperde nelle aule universitarie, dove il legame con le radici si misura in sguardi sfuggenti e in tentativi intermittenti di riscoperta.

Chi è nato prima del nuovo millennio tende a “tenere botta”, come si dice da queste parti – ovvero, resistere e mantenere saldi i valori. Gli adulti bolognesi custodiscono con fierezza certe abitudini che sconfinano nel rituale: la domenica con i tortellini in brodo, la “zdaura” (la donna di casa, spesso nonna o madre) che dirige la cucina con maestria, e le serate nei circoli ARCI, dove la politica e la musica si intrecciano con l’odore di vino rosso e salumi.

«Al dé d’na volt l’éra mej» – “Ai tempi di una volta era meglio” – è un mantra che echeggia tra i tavolini dei bar storici. Eppure, Bologna non è mai stata una città chiusa. La sua università, la più antica d’Europa, ha sempre attirato studenti da ogni angolo del mondo, contaminando costumi e parole. I giovani bolognesi di oggi, nativi digitali e cittadini del mondo, vivono questo dualismo con naturalezza. Alcuni abbracciano con orgoglio le proprie radici, riscoprono le ricette della nonna, partecipano alle feste di San Petronio e si fanno tatuare frasi in dialetto. Altri, invece, le tradizioni le vedono come oggetti da museo: presenti, ma distanti, come foto sbiadite in un album che non si sfoglia più.

Tra i giovani, i modi di dire dialettali resistono soprattutto nel tono ironico o nostalgico. Dire «mo và a cagàr, va!» – che equivale a un “ma dai, non dire stupidaggini!” – è diventato quasi un segno identitario, una forma di appartenenza semi-seria a una bolognesità sempre più liquida. Anche nel linguaggio, quindi, la tradizione diventa costume, più che consuetudine.

Eppure, in certi momenti dell’anno, tutto cambia. Durante la festa della Madonna di San Luca, quando la città si ferma per guardare l’icona scendere dal colle della Guardia, anche i più scettici si lasciano toccare. La salita al santuario sotto i portici diventa un pellegrinaggio laico, un atto collettivo che tiene insieme fede, storia e comunità. In quei giorni, Bologna torna “Bologna”, e anche i ragazzi che normalmente passano i weekend a Berlino o Londra sembrano riscoprire un senso di appartenenza.

Nonostante tutto, la città continua a parlarsi. I giovani non vivono più le tradizioni come obbligo, ma come scelta. Non tutti vogliono “far balotta” – ovvero, stare in compagnia per il gusto di farlo – con le vecchie usanze. Ma quando lo fanno, spesso lo fanno con consapevolezza e curiosità.

Bologna, alla fine, è come il suo dialetto: se non lo parli, almeno lo capisci. E anche se molti giovani non impastano più i tortellini la domenica, sanno ancora riconoscerne il profumo. È forse questa, oggi, la vera tradizione: restare fedeli a ciò che si è stati, anche mentre si cambia.

Redazione

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